Scuola e coronavirus: come ripartire?

La scuola è stata duramente colpita dal coronavirus; il lockdown ha imposto una chiusura che, a causa anche del calendario Italiano che prevede tre mesi di pausa estiva, è durata oltre sei mesi.

A parte i gravi problemi didattici, i ragazzi hanno sofferto anche un maggiore isolamento e per molti, ad esempio chi terminava un ciclo di studi (elementari, medie o superiori), è mancato anche quel momento di “ultimo saluto” ai professori e ai compagni che non vedranno più.

Ora che le scuole stanno per ripartire però molti dubbi tormentano i genitori e anche il corpo scolastico, perché a tutt’oggi il Covid lo conosciamo ancora molto poco.

Qui ne parleremo basandoci su un bell’articolo pubblicato su Science e che cerca di rispondere ad alcune domande, ad esempio: i ragazzi sono meno contagiosi? La mascherina va portata o no, e quando? Cosa si deve fare se c’è un caso positivo?

Scuola e rischio Covid

Cominciamo guardando brevemente cosa succede a scuola perché l’Italia, come la maggior parte delle altre Nazioni, ha deciso di modificare come si va in classe.

In generale sappiamo che è più facile contrarre il coronavirus da un malato, anche asintomatico, standogli molto vicino per un periodo prolungato.

A scuola ci sono svariati momenti in cui questa situazione capita:

  • Ingresso e uscita: ragazzi (e spesso genitori) si ammassano davanti alle porte e nei corridoi
  • Intervallo: il controllo di insegnanti e assistenti è meno presente e i ragazzi si raggruppano per parlare
  • Lezione: in uno spazio chiuso e ridotto i ragazzi restano a lungo riuniti

A scuola quindi non è facile attuare delle norme Anti-coronavirus, e ciò è aggravato dagli edifici che in nessun paese al Mondo sono stati costruiti pensando a un’epidemia.

Ma allora andare a scuola è così rischioso? Per fortuna qualche buona notizia c’è.

Giovani e Covid: sono meno colpiti?

Premettiamo che, come già detto, molti aspetti del coronavirus Covid-19 sono ancora poco chiari e quindi nulla si può dire con assoluta certezza.

Pare però abbastanza certo che sotto i 18 anni la probabilità di essere contagiati sia molto inferiore rispetto agli adulti, circa la metà e anche meno nei più piccoli.

Ciò ha portato purtroppo quest’estate al “liberi tutti”, cioè giovani che si raggruppavano senza regole e senza protezione convinti di essere immuni.

E’ utile chiarire quindi la minore possibilità di contagio si annulla se si hanno continuamente comportamenti a rischio.

Un’altra domanda importante è se i giovani possono contagiare gli altri più o meno facilmente.

Ad oggi sembra che si possano dividere i ragazzi in due gruppi che rispondono in maniera diversa all’infezione:

  • Sotto i 10-12 anni, oltre ad avere una minore possibilità di ammalarsi, è anche più difficile trasmettere il Covid agli altri.
  • Tra circa i 13 e i 18 anni, in pratica chi frequenta le superiori, oltre ad avere un rischiodi contrarre il virus un po’ più alto rispetto ai piccoli è anche più facile trasmetterlo.

In pratica gli studenti più grandi, pur con probabilità inferiore rispetto agli adulti, sono i giovani che si ammalano e trasmettono più facilmente il virus.

Ciò preoccupa perché in tutti i giovani l’infezione è spesso più leggera e meno visibile e quindi i liceali, che spesso sono meno attenti alle norme di prevenzione, possono contribuire alla diffusione del virus.

Gioco e ricreazione sono rischiosi?

Sono momenti importanti di interazione e crescita dei giovani, e gli psicologi di tutto il mondo sono d’accordo: si devono mantenere per un sano sviluppo.

Anche qui, partendo dall’osservazione che i più piccoli sono meno a rischio, le Nazioni che hanno già riaperto le scuole hanno lasciato una certa libertà.

Tuttavia quasi tutti hanno scelto di riunire i più piccoli in gruppi di gioco/attività di sei (o pochi di più), che vengono distanziati tra loro.

Nello sfortunato caso di un bambino positivo l’eventuale contagio si limiterebbe al gruppo ristretto.

Ovviamente la suddivisione è possibile se la struttura è grande o ha spazi esterni, ma diventa difficile se l’edificio ha spazi piccoli o se il maltempo impedisce di uscire.

In questi casi quindi piccoli gruppi e distanza sono una strada in salita, per cui alcune nazioni hanno adottato le mascherine.

I bambini devono portare le mascherine?

Partendo dal fatto abbastanza certo che i più piccoli si ammalano di meno la risposta sembra ovvia: no.

Come detto però questo è vero se si riescono a rispettare le altre precauzioni: distanziamento, evitare assembramenti, disinfettare frequentemente le mani.

Inoltre se la classe è piccola e gli studenti sono numerosi l’aria, che ovviamente non può essere cambiata ogni pochi minuti, diventa un po’ “pesante”.

Molti Stati esteri hanno deciso per la mascherina dai sette anni in su, visto che i più piccolini sembrano i meno colpiti.

Da noi e in Germania, la mascherina si usa quando non si è in classe; una volta seduti invece il distanziamento tra i banchi si ritiene dia una buona protezione anche senza mascherina.

In Italia tuttavia si è optato per una distanza forse un po’ troppo “corta”, sebbena anche in Francia 1 metro sia ritenuto adeguato.

Comunque i più piccoli potrebbero avere difficoltà ad usare e manipolare la mascherina, che va trattata con un po’ di riguardo; è infatti molto dubbia l’utilità se viene toccata e riposizionata sul viso più volte e magari gettata in cartella quando non si usa.

Il discorso potrebbe invece essere differente per i più grandi che, oltre a essere più soggetti al contagio, dovrebbero avere più consapevolezza e la capacità di utilizzarle con maggiore attenzione.

Poiché raramente si riesce dividere le classi in gruppi più piccoli e un’aula affollata è certamente meno sicura, l’uso continuativo della mascherina nei più grandi sarebbe una protezione in più.

A tutt’oggi è accertato che le goccioline disperse da respiro, starnuti e colpi di tosse sono una fonte di contagio; a questo proposito inoltre non si capisce perché la mascherina sia obbligatoria nei negozi ma non seduti al banco.

Cosa deve fare la scuola se c’è un positivo?

Bene, siamo arrivati al punto più critico del bell’articolo di Nature che abbiamo descritto e che a questa domanda risponde: non si sa.

Questa risposta, che a molti non piacerà perché vorremmo tutti la soluzione con “la bacchetta magica”, deriva dalla scarsa conoscenza del Covid.

A molti parrà incredibile che dopo nove mesi di pandemia si dica ancora “non si sa”, ma è così con tutte le malattie: caratteristiche dell’infezione e del virus, farmaci e cure, vaccini e immunità richiedono studi lunghi.

La questione è: se c’è un caso di coronavirus si chiude la classe o tutta la scuola?

Le altre Nazioni in cui le lezioni sono in pieno svolgimento spesso scelgono di limitarsi alla classe e ai contatti dell’alunno, visto che si suppone che le altre precauzioni riducano quasi a zero la diffusione alle altre classi.

Meno chiaro è come comportarsi se il malato è un professore che è stato a contatto con più classi.

E tuttavia solo l’esperienza e come verranno gestiti di volta in volta le situazioni daranno delle indicazioni per il futuro.

Le scuole favoriranno la diffusione del coronavirus?

Questa domanda viene naturale se si guarda ai bambini come dei “trasportatori” del virus; abbiamo visto però che i giovani sono meno soggetti a contagio e trasmissione tanto più sono piccoli.

E se invece i bambini portassero a scuola il coronavirus passatogli dai loro familiari? Poiché sono gli adulti i più colpiti, sembra più probabile che un bambino si ammali a casa contagiato dai genitori e non viceversa.

Alcuni dati provenienti da altre Nazioni europee in pieno anno scolastico (Austria, Belgio, Danimarca e Finlandia) non mostrano una ripresa del contagio dovuta alla riapertura.

Tuttavia, a tutt’oggi non si sono mai fatti test a tappeto sui più giovani e quindi nulla si sa sulla reale diffusione del virus tra loro.

Sarebbe quindi ideale una collaborazione tra scuola e Sistema Sanitario Nazionale per fare screening, monitoraggi e osservazioni statistiche utili.

Ma ovviamente ciò è impossibile in un momento in cui già la semplice riapertura ha richiesto uno sforzo inaudito a presidi e insegnanti.

Anche in questo caso comunque fare previsioni è impossibile, ma visto l’esempio degli altri Stati gridare oggi che il contagio ripartirà dalle scuole è fare terrorismo: come diceva quel cantante, lo scopriremo solo vivendo.

Ma in conclusione, cosa faccio coi miei figli?

Con un Decreto Scuola (buono o cattivo che sia) e con le indicazioni dei vari istituti già diffusi ai genitori non vogliamo aggiungerci e creare ulteriore confusione.

Tuttavia, prendendo spunto da quanto detto ecco alcune considerazioni importanti

  1. La prevenzione si fa in famiglia: non solo i bambini, ma anche gli adulti poco attenti possono portare a casa il virus
  2. Seguite le regole della scuola: chi non le rispetta, chi non controlla la febbre prima di mandarci il figlio, chi non gli insegna a seguire il regolamento può infettare gli altri e, di ritorno, anche la propria famiglia
  3. I bambini si devono informare ma non spaventati: bisogna che siano responsabili e consapevoli dei rischi, ma non impauriti.
  4. Le mascherine non sono pericolose, dannose o tossiche e ad oggi sono la prevenzione più efficace; non sono nemmeno così insopportabili da portare, ormai ci siamo tutti abituati
  5. Mascherine alle superiori anche in classe: visto che tra i giovani i liceali sono i più sensibili al virus, secondo noi tenere la mascherina anche quando si è seduti al banco offre una sicurezza in più

Certamente comunque questo inverno, in cui al coronavirus si sovrapporranno anche i soliti malanni di stagione, distinguere tra normale influenza e Covid-19 sarà quasi impossibile.

Ci aspetta sicuramente una prova molto impegnativa e le famiglie non potranno nemmeno contare sul supporto così importante dei nonni che sono i più vulnerabili al contagio.

E’ quindi ancora più importante che gli adulti mostrino ai giovani, dando quindi il buon esempio, senso di responsabilità, rispetto delle regole e capacità di affrontare con lucidità i momenti difficili.

Soprattutto bisogna pensare non solo a sè stessi ma anche alla comunità, perché nessuna famiglia è al sicuro se con i suoi comportamenti mette a rischio i suoi vicini e concittadini.